6 Maggio 1980

«Non voglio ridurvi ad assistere ad una lezione. Vorrei che questa non fosse la solita, ormai logora e stanca, proposizione dell’uomo di cultura, ma un incontro nel corso del quale insieme si intervenga con domande e testimonianze, così che andandocene avremo la convinzione che quel poco o tanto che è nato, è nato da tutti noi insieme, per un bisogno, un’esigenza».

Con queste parole Giovanni Testori, grande interprete della condizione dell’uomo e della società nel mondo contemporaneo, dava inizio all’incontro Una cultura per l’uomo d’oggi, che tenne a battesimo l’attività del Centro culturale Paolo VI il 6 maggio 1980.

Quanto proposto dallo scrittore milanese nel corso di quella serata e la modalità di svolgimento della serata stessa, con «domande e testimonianze», fanno intravedere quale fosse – e quale sia ancora oggi – il modo di intendere la “cultura” da parte del Centro culturale Paolo VI e, nello stesso tempo, la modalità di essere presenti, coinvolgendo chiunque avesse veramente a cuore la propria umanità.

«Crediamo, per assuefazione, che cultura sia fare scienza e che il resto dell’umanità sia soltanto chiamato a partecipare a questa esperienza, a ciò che una élite di privilegiati pensa e scopre nella vita dell’uomo».
La cultura è «legata, come nascita, arrivo, recezione e, quindi, sviluppo, all’uomo, a tutti gli uomini e a ciascun uomo. Si fa cultura in ogni modo. La cultura è una forma costante.
Ed il culmine, la fioritura massima della cultura diventa quasi un rito. La vita diventa testimonianza di sé negli altri, della verità religiosa che ogni uomo porta dentro di sé in quanto figlio di Dio, è la forma dell’amore che l’uomo ha in mezzo agli altri uomini».

E ancora. «La vera cultura è lo sforzo, la fatica, la rivoluzione di tutte le mattine che è riscoperta del proprio rapporto con Cristo, con Dio e, quindi, con gli uomini.
La cultura ufficiale snobbi pure questa cultura, la giudichi pure riduttivamente con i doxa, con le statistiche. Ma la vera rivoluzione si fa ogni giorno in questo riconoscersi figli del Padre che conferirà, alla lunga, un senso reale anche alla storia, alla giustizia sociale, alla legge, impedendo loro di trasformarsi nel contrario di quello che vogliono essere».

Chiaro anche il giudizio di Testori sul rapporto tra la fede e la cultura: «A volte sentiamo una divisione tra atti della cultura e della fede, e ciò accade perché in noi c’è ancora un margine di fuga dalla fede stessa. È quindi una “non totalità” d’abbandono in questo incontro con Cristo che ci rende separati dagli atti della vita.
Una parte della nostra vita è così sospinta verso una forma di cultura laica, mondana, materialista.
Accade ciò perché noi cristiani ci abbandoniamo poco, abbiamo delle riserve. Ma l’abbandono in Cristo non è irresponsabile, bensì di coscienza piena.
Dobbiamo provare a concederci a Dio, alla Grazia, al Padre, a Cristo.
Dobbiamo imparare a leggere i segni della vita: tutto, anche la fatica, rende felici. Se non sappiamo cogliere i segni che il Signore ci manda, ci depauperiamo e depauperiamo a nostra volta la Creazione. La pazzia dei santi sta proprio in questo essere aperti, in questa continua novità, reinvenzione quotidiana della vita».

Coordinate incontro

Titolo  Una cultura per l’uomo d’oggi
Data  martedì 6 maggio 1980, ore 21
Sede
  Camera di Commercio di Como
Relatore  Giovanni Testori, scrittore
Ente organizzatore  Centro culturale Paolo VI

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